La “scuola dei cantautori genovesi” nasce nella mia città, quella della Lanterna, alla fine degli anni ’50 e i primi anni ’60. Tra i venti di scirocco e tramontana un gruppo di giovani amici con la passione per la musica d’autore scelgono di incontrarsi ed esprimere insieme la poesia del racconto unita alla musica per rappresentare la libertà, la riflessione individuale e l’amore terreno, privato di ogni retorica. Fra i protagonisti di questa scuola troviamo il grande Fabrizio De André, Gino Paoli, Luigi Tenco, Bruno Lauzi e il mio preferito, il bistrattato Umberto Bindi, che con la sua delicatezza ha prodotto opere meravigliose come “Odio” e “Arrivederci. Bindi fu allontanato dalla Rai, per la sua omosessualità mai taciuta, dopo il Festival di Sanremo nel 1961 dove partecipa con «Non mi dire chi sei». Si classifica all’11° posto scritta assieme a Calabrese, suo paroliere di fiducia. Eppure di quell’esibizione sanremese sui giornali e sulle riviste non si parlò tanto del pezzo in sé, quanto del “vistoso anello” che il cantautore aveva portato sul palco. Questo è il segnale che le cose sono destinate a cambiare in peggio per Bindi, che compone ancora canzoni importanti ma inizia a perdere pubblico. Improvvisamente tutte le porte delle trasmissioni si serrarono e Bindi viene emarginato. A causa della sua generosità ad amici o presunti tali Bindi avrà grandi problemi economici. Gli amici di una vita si prodigano per lui: specialmente Gino Paoli lancia un accorato appello a mezzo stampa sulle pagine de Il Messaggero nel ’92, spingendo per far applicare a Bindi la legge Bacchelli, che prevedeva la possibilità per cittadini illustri di ricevere un sussidio statale in caso di necessità. Vi consiglio di ascoltate le registrazioni della sua voce pulita e le melodie di quegli anni.
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